Il Club per l’Unesco di Ivrea
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Siete arrivati fin qui nel cuore più alto di quella che fu la città vecchia di Ivrea, da questo punto panoramico vediamo i tetti della città dall’alto, verso sud e ovest. Quasi una vista a “volo d’uccello” come quella della tavola della Città di Ivrea che il Theatrum Sabadiæ mirabilmente raffigurava nel tardo ‘600 attraverso il disegno di Tommaso Borgonio e che ci ha permesso di capire cosa c’era e cosa è rimasto al posto del Belvedere in cui ci troviamo e negli immediati dintorni.
La chiesa di S. Pietro si trovava proprio qui, in quello che era il Terziere di Città e le notizie tramandateci parlano della sua esistenza anteriormente all’anno, insieme a quelle di S. Quirico e S. Lorenzo e, secondo il Benvenuti, la più antica. La città era molto più piccola di come la vedete ora ed era quasi tutta sull’altura di questo colle che si chiama Monte di Città. Sappiamo che nel 1075 tutti i fedeli abitanti entro la cerchia delle mura di Ivrea erano amministrati dai preti di questa chiesa, “parrochia totius civitatis” come è definita nel diploma di donazione del vescovo Oggerio.
Nel 1212/13 il vescovo Oberto di stirpe signorile monferrina incarnò l’estensione politica di “episcopus et comes” vescovo e conte, con il supporto dei canonici del Capitolo della Cattedrale, dell’abate della potente abbazia benedettina di Santo Stefano e dei preti delle parrocchie di San Donato, San Maurizio e della nostra San Pietro. Ancora nel 1254 Martino, prete di questa chiesa, divulgava ai fedeli le volontà del vescovo conte facendo parte della catena di comando ecclesiale, come lui stesso relazionava. San Pietro apparteneva al patrimonio dell’abbazia di Santo Stefano documentato dal XII secolo e per il suo clero, dal 1290.
La costruzione dell’imponente castello savoino che vediamo alle nostre spalle, terminata nel 1395, andò a lambire e in parte ad occupare i siti propri dei canonici, di proprietà delle chiese di S. Pietro e di S. Donato, per meglio fortificare il castello.
Tra il 1418 e il 1426 Amedeo VIII fece riparare la cinta muraria della città e nel 1422 il beccaio Guglielmo della parrocchia di S. Pietro risultava indebitato con il canonico Antonio de la Cursera di 12 Grossi di Savoia per l’affitto di un prato che però, essendo stato danneggiato dai lavori di fortificazione, fu esentato dal pagamento per il primo anno.
Fu proprio il grande quantitativo di armi e munizioni conservate in castello che causò una forte esplosione il 17 giugno 1676 quando durante un temporale il fulmine si abbattè sulla torre mastra innescando e facendo deflagrare le polveri che causarono morte e distruzione. Don Rua, il parroco di S. Pietro scriveva il 20: “Tre giorni durò il fuoco dei magazzini incendiati e 187 case rovinarono causando la morte di cinquanta persone”. Il grande sventramento del quartiere trecentesco della Porta toùpe, sorto intorno al Palazzo della Credenza e alla piazza del vecchio mercato, iniziò nel 1788 e coinvolse diversi piccoli proprietari. Cinque di essi appartenenti alla parrocchia di S. Pietro offrirono le proprie vecchie case del quartiere al comune affinché le abbattesse. La demolizione completa terminò a cavallo tra i due secoli XIX e XX.
Qui vicino, anzi sotto di noi, a metà della via scalinata delle Torri che ci collega a Via Quattro Martiri, già via Palma, possiamo ancora vedere il sedime dell’antica Torre dell’orologio, unica traccia rimasta. Fatta erigere privatamente dalla potente famiglia De Solerio, nel 1395 venne donata alla città da Amedeo VIII dotandola di orologio e campana e sorgeva contigua al muro del coro della chiesa di S. Pietro. Nel 1755 minacciava di crollare e fu parzialmente demolita riducendola in altezza. Fu poi atterrata quando i canonici Perotti costruirono la loro dimora, oggi casa Pesando. Infatti proprio in quel 1794 questi facoltosi canonici Perotti, zio e nipote, eressero la bella dimora al nostro fianco a due ordini di logge di tre arcate ciascuna.
Nella chiesa le funzioni religiose cessarono nel 1826 e così divenne la bottega di un falegname, poi fu sede di una cucina popolare e fu abbandonata riducendosi a rudere nei primi del ‘900, e infine abbattuta nel 1940.
Molte sono le storie che offre questa città al visitatore, in attesa di essere raccontate.
Prof. Fabrizio Dassano con gli studenti e la Prof.ssa Manuela Belvedere della classe quinta grafica e comunicazione dell’IIS di Ivrea.